La Fondazione Musica per Roma propone per l’intero anno 2023 una stagione teatrale con la quale intende rinnovare il suo impegno programmatico al racconto del contemporaneo. Importanti nomi della drammaturgia italiana offriranno serate uniche nelle quali il linguaggio della contemporaneità prenderà la forma del racconto teatrale in dialogo con la musica.
All’Auditorium, lo spettacolo tratto dall’omonimo romanzo di Daniel Pennac, mette in scena una narrazione fluviale dove, attraverso le sue scoperte e le sue mutazioni, il corpo del protagonista prende progressivamente la scena, accompagnandoci in un mondo che si svela attraverso i sensi, diremmo quasi l’epidermide: la voce anaffettiva della madre, gli abbracci silenziosi del padre, l’odore accogliente dell’amata tata, il dolore bruciante di una ferita, il sapore dei baci della donna amata. Pagine e pagine di un diario intimo dove, raccontando di muscoli felici, di orgasmi potenti, di denti che fanno male o di meravigliose avventure tra sonno e veglia si narra una vicenda unica ed insieme universale: lo sviluppo, la crescita e la rovina della sola esperienza che ci fa davvero tutti uguali, quella di noi grandiosi e vulnerabili esseri umani. E il fatto che questo avvenga attraverso la scrittura e la narrazione (l’uomo è la sola creatura narrante) dà la possibilità a Pennac di accompagnarci alla scoperta di quel giardino segreto che è il nostro corpo, di un organismo che è insieme memoria, testimonianza e lascito. Pennac racconta della sanguinolenta battaglia contro un polipo nasale o della paralizzante scoperta del corpo femminile, dell’infamia, della masturbazione o del miracolo della nascita, della tirannia delle flatulenze o della tragedia della morte sempre e continuamente tra sorpresa e sorriso, tra fatalità e miracolo, grandezze e miseria. E qui la “voce” di Pennac si fa grande teatro, smette di essere libro e si trasforma in epica narrazione orale dove il diario di un corpo diventa una storia “che merita di essere raccontata”.
L’ira di Achille è una messa in scena con i pupi pensata non per il piccolo boccascena ma per il grande palcoscenico. L’azione si svolge su tre piani scenici: gli uomini/pupi, i sacerdoti/pupari e gli dei/attori. Giacomo Cuticchio ha scritto appositamente la suite musicale per lo spettacolo, ideato, montato e diretto dal padre Mimmo.
Dante Alighieri, nel 33esimo canto del Paradiso, si trova nell’impaccio dell’essere umano che prova a descrivere l’immenso, l’indicibile, prova a raccontare l’irraccontabile. Questo scarto rispetto alla “somma meraviglia” sarà messo in scena creando un’esperienza unica, quasi fisica per lo spettatore al cospetto dell’immensità. Elio Germano e Teho Teardo sono voce e musica per dire la bellezza e avvicinarsi al mistero, l’immenso, l’indicibile ricercato da Dante nei versi del XXXIII canto del Paradiso. Dal suono avvincente ed “etterno” germoglia la musica inaudita e imprevedibile del compositore d’avanguardia e scaturisce la regia visionaria e impalpabile di Simone Ferrari e Lulu Helbaek, poeti dello sguardo, capaci di muoversi tra cerimonie olimpiche, teatro e show portando sempre con loro una stilla di magia del Cirque du Soleil. Grazie alla loro esperienza crossmediale, accadrà qualcosa di magico e meraviglioso di inspiegabile, trascendendo qualsiasi concetto di teatro, concerto o rappresentazione dantesca attraverso una contaminazione di linguaggi tecnologici e teatrali.
Sul palco Vinicio Marchioni alterna racconti personali, poesie, massime, pezzi di teatro-canzone, storie riprese dai miti classici ispirati al vino, accompagnato dalle musiche originali eseguite dal vivo da Pino Marino e Alessandro D’Alessandro e dischi d’epoca, portando il pubblico in una dimensione “altra” attraverso l’arte del racconto. Un viaggio meraviglioso nella letteratura, nella musica e nell’umanità che si è sviluppata intorno al culto del vino e a tutto quello che rappresenta: incontro, amicizia, andare oltre i limiti, creazione, disperazione, amore e gioia di vivere; da Dioniso a Charles Bukowski, citando Gaber e l’opera lirica, da Baudelaire a Remo Remotti e Alda Merini. Un omaggio al vino, alla vita e all’essere umano, leggero e pieno di ebrezza, come una cena tra amichee amici che si dilunga nella notte.
Sul palco Vinicio Marchioni alterna racconti personali, poesie, massime, pezzi di teatro-canzone, storie riprese dai miti classici ispirati al vino, accompagnato dalle musiche originali eseguite dal vivo da Pino Marino e Alessandro D’Alessandro e dischi d’epoca, portando il pubblico in una dimensione “altra” attraverso l’arte del racconto. Un viaggio meraviglioso nella letteratura, nella musica e nell’umanità che si è sviluppata intorno al culto del vino e a tutto quello che rappresenta: incontro, amicizia, andare oltre i limiti, creazione, disperazione, amore e gioia di vivere; da Dioniso a Charles Bukowski, citando Gaber e l’opera lirica, da Baudelaire a Remo Remotti e Alda Merini. Un omaggio al vino, alla vita e all’essere umano, leggero e pieno di ebrezza, come una cena tra amichee amici che si dilunga nella notte.
È il 14 settembre del 1969, dopo una partita a Genova di un Cagliari che avrebbe vinto
l’unico, storico scudetto. Gigi Riva va a trovare Fabrizio de André. Sembra un incontro tra
due mondi lontanissimi e invece, in mezzo ai silenzi, cominciano a scorrere i pensieri di
due randagi che, in campi diversi, hanno sempre scelto di stare dalla parte degli altri
randagi. Si snodano così i punti di contatto di due universi che condividono la Sardegna, il
mare, il pubblico che li segue religiosamente, il calcio, la musica. Quando le parole
diventano di troppo i due si salutano, non si vedranno mai più. Forse, per questo, un
incontro diventa teatro.
Siamo stati presi di sorpresa dalla pandemia, ma l’abbiamo interpretata.
Ci hanno mostrato la fotografia del parassita e anche i numeri, le carte geografiche che cambiano colore con la diffusione del virus e i grafici.
Abbiamo un’idea razionale della malattia.
La gestiamo così bene che qualcuno la sta persino negando. Ma quel numero così alto di morti ci ha disorientato. E all’inizio abbiamo pensato che fosse proprio il numero, la quantità. E invece è una questione di qualità. Non siamo più preparati per la morte. I cadaveri non ci fanno una grande impressione. Non ci perturbano più di tanto. Ma siamo sconvolti dal nulla che se li porta via. Non sappiamo che fare. E se ci tolgono il corpo del defunto siamo completamente spaesati. Mia madre e mia nonna avrebbero messo in moto tutta una serie di riti piccoli e grandi, consapevoli e inconsapevoli. Avrebbero saputo cosa cucinare e come, cosa bere e mangiare, chi chiamare e quali parole dirgli, come e dove e quando pregare. Noi no. Noi abbiamo bisogno delle cose materiali. Senza il corpo del morto restiamo immobili con la testa vuota.
Così mi sono messo a raccontare e a scrivere. A fare qualcosa che non avesse un corpo. Perché il lutto è immateriale come la memoria, le parole, i sogni.
Arriva l’11 e il 12 aprile all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone “La madre di Eva”, spettacolo di e con Stefania Rocca. La storia di partenza, liberamente ispirata all’omonimo romanzo di Silvia Ferreri finalista al premio Strega 2018, è quella di un ragazzo nato in un corpo femminile in cui si sente prigioniero che intende percorrere un percorso di transizione e di una madre che non vuole vedere, un po’ per paura e un po’ perché bloccata nel suo desiderio di madre perfetta. È un conflitto generazionale e culturale, due linguaggi che usano parole simili ma con significati differenti come sempre succede tra generazioni diverse. «Ho scelto di utilizzare diversi linguaggi oltre la messa in scena teatrale per meglio raccontare quei momenti di vissuto che appaiono e scompaiono dalla memoria senza soluzione di continuità a comporre quel puzzle emotivo di due esistenze antitetiche. Portando avanti questo progetto, ho incontrato tanti genitori e tanti ragazzi che stanno affrontando questo percorso, singolare e diverso per ognuno di loro. Alla fine quando un conflitto si ricompone avviene ascoltando il linguaggio del cuore, il solo che ci consente di dare valore alle differenze. In fondo la bellezza è negli occhi di chi guarda», spiega Stefania Rocca.
Arriva l’11 e il 12 aprile all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone “La madre di Eva”, spettacolo di e con Stefania Rocca. La storia di partenza, liberamente ispirata all’omonimo romanzo di Silvia Ferreri finalista al premio Strega 2018, è quella di un ragazzo nato in un corpo femminile in cui si sente prigioniero che intende percorrere un percorso di transizione e di una madre che non vuole vedere, un po’ per paura e un po’ perché bloccata nel suo desiderio di madre perfetta. È un conflitto generazionale e culturale, due linguaggi che usano parole simili ma con significati differenti come sempre succede tra generazioni diverse. «Ho scelto di utilizzare diversi linguaggi oltre la messa in scena teatrale per meglio raccontare quei momenti di vissuto che appaiono e scompaiono dalla memoria senza soluzione di continuità a comporre quel puzzle emotivo di due esistenze antitetiche. Portando avanti questo progetto, ho incontrato tanti genitori e tanti ragazzi che stanno affrontando questo percorso, singolare e diverso per ognuno di loro. Alla fine quando un conflitto si ricompone avviene ascoltando il linguaggio del cuore, il solo che ci consente di dare valore alle differenze. In fondo la bellezza è negli occhi di chi guarda», spiega Stefania Rocca.
Ermanna Montanari, attrice e autrice, Stefano Ricci, pittore e illustratore, Daniele Roccato, compositore e contrabbassista solista, tre artisti dallo stile inconfondibile si sono incontrati per creare MADRE, la storia di un figlio e una mamma contadina. Lei è caduta dentro un pozzo. Per disattenzione? Per follia? Per scelta? Non si tratta di un dialogo: è un dittico, composto da due monologhi, lui che la sgrida e va a cercare gli strumenti, argani e moschetti, tubi di ferro e carrucole, la “tecnologia” per tirarla fuori; lei che in fondo, nel fondo di quel pozzo che pare infinito, confessa di non avere paura, di non sentirsi a disagio. Da quel paesaggio desolato si staglia l’allegoria di una Madre Terra sempre più avvelenata, l’incubo di una “tecnologia” che, anziché aiutare con discrezione l’umanità, si pone come arrogante e distruttrice, capace di devastare equilibri millenari. Nell’intarsio del testo, tra italiano e dialetto romagnolo, emergono due figure in bilico tra la realtà cruda dei nostri giorni e i simboli di un futuro minaccioso e indecifrabile: sembrano emblemi di una fiaba orientale.
Ermanna Montanari, attrice e autrice, Stefano Ricci, pittore e illustratore, Daniele Roccato, compositore e contrabbassista solista, tre artisti dallo stile inconfondibile si sono incontrati per creare MADRE, la storia di un figlio e una mamma contadina. Lei è caduta dentro un pozzo. Per disattenzione? Per follia? Per scelta? Non si tratta di un dialogo: è un dittico, composto da due monologhi, lui che la sgrida e va a cercare gli strumenti, argani e moschetti, tubi di ferro e carrucole, la “tecnologia” per tirarla fuori; lei che in fondo, nel fondo di quel pozzo che pare infinito, confessa di non avere paura, di non sentirsi a disagio. Da quel paesaggio desolato si staglia l’allegoria di una Madre Terra sempre più avvelenata, l’incubo di una “tecnologia” che, anziché aiutare con discrezione l’umanità, si pone come arrogante e distruttrice, capace di devastare equilibri millenari. Nell’intarsio del testo, tra italiano e dialetto romagnolo, emergono due figure in bilico tra la realtà cruda dei nostri giorni e i simboli di un futuro minaccioso e indecifrabile: sembrano emblemi di una fiaba orientale.
Ermanna Montanari, attrice e autrice, Stefano Ricci, pittore e illustratore, Daniele Roccato, compositore e contrabbassista solista, tre artisti dallo stile inconfondibile si sono incontrati per creare MADRE, la storia di un figlio e una mamma contadina. Lei è caduta dentro un pozzo. Per disattenzione? Per follia? Per scelta? Non si tratta di un dialogo: è un dittico, composto da due monologhi, lui che la sgrida e va a cercare gli strumenti, argani e moschetti, tubi di ferro e carrucole, la “tecnologia” per tirarla fuori; lei che in fondo, nel fondo di quel pozzo che pare infinito, confessa di non avere paura, di non sentirsi a disagio. Da quel paesaggio desolato si staglia l’allegoria di una Madre Terra sempre più avvelenata, l’incubo di una “tecnologia” che, anziché aiutare con discrezione l’umanità, si pone come arrogante e distruttrice, capace di devastare equilibri millenari. Nell’intarsio del testo, tra italiano e dialetto romagnolo, emergono due figure in bilico tra la realtà cruda dei nostri giorni e i simboli di un futuro minaccioso e indecifrabile: sembrano emblemi di una fiaba orientale.
Checco Zalone arriva per la prima volta all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone per tre imperdibili appuntamenti. Sul palco della Cavea il comico, attore, showman, imitatore, cantautore, musicista, cabarettista, sceneggiatore e regista italiano porterà il suo nuovo spettacolo, “Amore + Iva”, scritto con Sergio Maria Rubino e Antonio Iammarino. L’artista pugliese tornerà sul palco undici anni dopo il Resto Umile World Tour e dopo aver battuto tutti i record della storia del cinema italiano. “Amore + Iva” è uno spettacolo totalmente inedito in cui musica, racconti, imitazioni e parodie saranno accompagnati dall’inconfondibile ironia di uno degli artisti più caleidoscopici e amati dal pubblico italiano.
Checco Zalone arriva per la prima volta all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone per tre imperdibili appuntamenti. Sul palco della Cavea il comico, attore, showman, imitatore, cantautore, musicista, cabarettista, sceneggiatore e regista italiano porterà il suo nuovo spettacolo, “Amore + Iva”, scritto con Sergio Maria Rubino e Antonio Iammarino. L’artista pugliese tornerà sul palco undici anni dopo il Resto Umile World Tour e dopo aver battuto tutti i record della storia del cinema italiano. “Amore + Iva” è uno spettacolo totalmente inedito in cui musica, racconti, imitazioni e parodie saranno accompagnati dall’inconfondibile ironia di uno degli artisti più caleidoscopici e amati dal pubblico italiano.
Checco Zalone arriva per la prima volta all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone per tre imperdibili appuntamenti. Sul palco della Cavea il comico, attore, showman, imitatore, cantautore, musicista, cabarettista, sceneggiatore e regista italiano porterà il suo nuovo spettacolo, “Amore + Iva”, scritto con Sergio Maria Rubino e Antonio Iammarino. L’artista pugliese tornerà sul palco undici anni dopo il Resto Umile World Tour e dopo aver battuto tutti i record della storia del cinema italiano. “Amore + Iva” è uno spettacolo totalmente inedito in cui musica, racconti, imitazioni e parodie saranno accompagnati dall’inconfondibile ironia di uno degli artisti più caleidoscopici e amati dal pubblico italiano.
Ritorna a Capodanno Edoardo Leo, con un’edizione speciale e un nuovo allestimento scenico dello spettacolo Ti racconto una storia (letture serie e semiserie), con le improvvisazioni musicali di Jonis Bascir.
Ti racconto una storia è un reading-spettacolo che raccoglie appunti, suggestioni, letture e pensieri dell’attore e regista romano Edoardo Leo. Vent’anni di ritagli, ricordi e risate, trasformati in uno spettacolo coinvolgente che cambia forma e contenuto ogni volta in base allo spazio e all’occasione.
Un’occasione per sorridere e riflettere, che racconta spaccati di vita umana unendo parole e musica. Una riflessione su comicità e poesia per spiegare che, in fondo, non sono così lontane.
In scena non solo racconti e monologhi di scrittori celebri (Benni, Calvino, Marquez, Eco, Benni, Piccolo) ma anche articoli di giornale, aneddoti e testi di giovani autori contemporanei e dello stesso Edoardo Leo, e tante sorprese.