Una produzione Fondazione Musica per Roma
in collaborazione con Centro per il Libro e la Lettura, Radio3
Scrivere un romanzo per obbedire ad una suggestione di una lingua straniera che non si conosce, cosi ha fatto qualche anno fa Chico Buarque De Hollanda per il suo Budapest. Solo il suono di un idioma altro, solo l’orecchio di un musicista poteva tendersi fino a tanto. Come fa l’autore di canzoni che dicono “vivere non è cercare dei perché ma usar la usar la bocca gli occhi e il cuore” , l’autore di storie che durano quattro minuti, e una vita, a passare alle storie che compongono un romanzo? Chico Buarque naviga a vista, ora, come per Budapest sceglie il suono di una lingua, ora, come per l’ultimo Latte versato, sceglie una prospettiva storica, lui figlio di un grande storico brasiliano. Il filo della memoria di un paese può ben stare in una rivoluzione musicale come fu quella della bossa nova oppure nel monologo che il centenario Eulalio, morente, dal letto di un ospedale di Rio de Janeiro ricama intorno alle sue vicende personali e per estensione a quelle dell’intero Brasile. Quando scrive i suoi romanzi, quattro finora e di grande successo, Buarque dice di non suonare né di ascoltare la musica, la insegue nel ritmo delle frasi che scrive.