Una coproduzione Fondazione Sigma-Tau e Fondazione Musica per Roma in collaborazione con il CiDi
Riprende con una grande serata teatrale il ciclo “L’Arsenale di Galileo”, ideato dalla Fondazione SIGMATAU e dalla Fondazione Musica per Roma e concepito come il luogo in cui la speculazione filosofica incontra la prassi del laboratorio confrontando ricerca empirica, riflessione umanistica e conseguenze sociali delle scoperte della scienza. “La scienza tra le righe” affida alle voci di Massimo Popolizio, Umberto Orsini, Lino Guanciale e Elisabetta Piccolomini, una selezione di brani tratti da La Recherche di Proust e L’Uomo senza qualità di
Musil per ricostruire la formidabile conoscenza che i due scrittori avevano della neurofisiologia. Un nuovo approccio all’opera di Proust per mettere in evidenza la componente naturalistico-materialistica della “visione” proustiana che affonda le radici anzitutto in fatti biografici e nella necessità, maturata soprattutto nel periodo di ricovero in clinica per malattie nervose, di approfondire sul piano neurofisiologico e neuropsicologico il funzionamento della memoria, della coscienza e della volontà. In tutto L’Uomo senza qualità di Musil la “follìa” è lo specchio profondo e scuro della “visione del mondo” immanente al libro. Una visione in cui la realtà è aperta sulla possibilità infinita e tutto è sempre aleatorio, frantumato, reversibile. I brani selezionati vanno inquadrati nell’ottica della psicopatologia come cambiamento prospettico della percezione e della cognizione. Nel percorso proposto appaiono due figure della patologia mentale, l’una per così dire innescata dall’altra, perché il progressivo deragliamento di Clarisse trova un cofattore nell’ossessione per il “caso Moosbrugger”, dal nome del falegname che ha ucciso una prostituta in maniera efferata. Particolarmente significativa, in questo “contagio”, una frase di Nietzsche che Clarisse evoca più volte: “Esiste un pessimismo della forza? Un’inclinazione intellettuale per l’orrido, il malvagio, il crudele, il problematico della vita? Un’aspirazione al terribile come a un nemico degno? E potrebbe la pazzia non essere necessariamente un sintomo di degenerazione?