Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Per quelli che fanno il mio mestiere le città hanno piazze, teatri, orologi che segnano la mezzanotte di fine concerto. Il suono dei passi della gente che torna a casa e che rimbalza dal selciato sui muri delle case. Sguardi, parole, strette di mano, qualche abbraccio. Ne ricordo mille, di città così, in Italia e anche più lontano, molto più lontano. Qualche bel ricordo si impiglia nelle ruote dell’auto, altri direttamente nella memoria.
Il caro professore di Trento che insegna latino medioevale alla civiltà distratta di Internet. Qualche vero poeta delle periferie e tanti occhi bisognosi d’illusioni. "La grande magia", ecco cosa occorre: Eduardo, Strehler.
Ogni sera ce n’è un bisogno infinito. Chi si sposta velocemente lo sa e lo vede. Un giro di concerti? Sono settemila chilometri che diventano tredicimila, ventiduemila e poi di più. Ma ventiduemila chilometri sono più o meno la metà della circonferenza del pianeta su cui viviamo. E allora che importa: avanti, avanti.
La musica fa e non fa, arriva e non arriva, si fa capire quando e come vuole, oppure si lascia fraintendere. Con la musica e le parole innestate sopra si corre facilmente al di là delle proprie intenzioni. E’ la maledizione della sinergia. Allora giù a frenare, gettare acqua sul fuoco, deviare o peggio di tutto spiegare. Baci e ancora strette di mano. Domani Firenze, Taranto, Torino, Napoli, tutte insieme; piazze, teatri e orologi. Bauli caricati e scaricati dal Tir e ancora memorie nuove di zecca che si impigliano. Arrivano biglietti, lettere, libri con le frasi sottolineate e ognuno è un messaggio, profondo, sereno o disperato, amorevole o superficiale, qualche volta oscuro o risentito.
Padova, Strasburgo, Palma di Majorca, Genova, non cambia. Intanto in mezzo c’è la vita, la mia e quella degli altri. C’è perfino la storia, sì, quella con la maiuscola. Ci sono i giorni che "arrivano sempre" come dice Saramago. Quella è storia. Noi in viaggio, la leggiamo sui giornali: le elezioni, il festival di Sanremo, la politica europea di cui così poco ci occupiamo. Ancora ristoranti e strette di mano, altri nomi di città e piazze, indirizzi, teatri, orologi che segnano la mezzanotte.
E’ così, finché tutto si ferma e incomincia a lavorare dolcemente la memoria. E la circonferenza terrestre? Quest’anno l’ho percorsa tutta. Per quel che serve.
Ivano Fossati
(da Torino Sette - Supplemento all'edizione torinese de La Stampa di venerdì 24 marzo 2000)