Shadows, Songs of Nat King Cole è un progetto che Hugh Coltman maturava già da diversi anni. Inglese di nascita e parigino di adozione, Coltman ha sedotto il pubblico con la sua voce unica, potente e roca e con la sua musica pop – folk sensibile e dolce. L’incontro con Eric Legnini lo fa entrare a capofitto nell’universo jazz portandolo ad elaborare un progetto su Nat King Cole che si rivelerà poi anche un omaggio a sua madre, scomparsa prematuramente quando Hugh aveva 7 anni. Coltman si interroga sul quotidiano di un musicista americano nero a cavallo degli anni Quaranta, epoca in cui regnava la segregazione e gli artisti neri dovevano entrare in sala dalla porta di servizio e si rende conto che una parte del repertorio di Cole può essere letto da una differente angolazione: Smile, titolo faro tra i suoi brani, non si avvicina più alla disperazione e alla rassegnazione che alla speranza? E che dire delle prime parole di Pretend che suonano come una confessione: “Pretend you're happy when you're blue / It isn't very hard to do”. La sua intenzione è quella di rivelare le “ombre”, di rado o mai percettibili nelle scelte artistiche di Cole. La selezione dei brani, la produzione e le performance vocali dell’artista, ben piantate nella sua passione per il blues, offrono all’insieme un’aurea di tensione, talvolta quasi di malessere.