Fondazione Musica per Roma
prima italiana
Non correre più, dimenticare lo stress quotidiano: un passaggio in questo giardino rigenera durevolmente. Un'ora e un quarto senza parole per meditare sulla condizione umana. Settantacinque minuti di poesia burlesca che ricorda il cinema di Buster Keaton e al teatro di Samuel Beckett. Quattromilacinquecento secondi che scorrono molto lentamente. Di rado si è visto, tuttavia, un tale controllo di un ritmo così delicato e pericoloso. Non c’è soltanto la velocità dell’esecuzione di giocoleria e acrobazia, che si raddoppia con un timing rigoroso.
Didier André e Jean-Paul Lefeuvre sanno, dunque, conservare il ritmo al ralenti, come un vulcano in veglia, che sputa i suoi fuochi d’artificio di tanto in tanto, a sorpresa. Il quadro è semplice: una grande serra in mezzo alla scena e due personaggi, ovviamente di stili opposti. Uno è di taglia media, grassoccio, goffo e piuttosto autoritario. All'inizio, è steso su un’amaca e suona il banjo, con l’aria per niente comica. Fa della giocoleria con tutto, eccetto con i suoi zigomi. L’altro, stile " Pierrot dei giardini", è un po' più alto, vestito solo con dei pantaloncini; sempre attivo e servizievole, ha l’aria spesso confusa, osserva il pubblico con i suoi grandi occhi fuori dalle orbite. Questo ginnasta ha addominali di cemento armato e l'elasticità di un felino. Questi due giardinieri-clown faranno fiorire sul palcoscenico i piccoli niente dell'esistenza e le grandi questioni delle relazioni umane.
Come attrezzi hanno un registratore e delle cassette (per le musiche e le canzoni), una carriola (che servirà per uno straordinario balletto), gabbiette, mazzi di fiori (che si trasformano in freccette) o anche tubi, piccoli o grandi (Tati avrebbe potuto filmare la scena).