“Dovunque sorga una controversia, lì deve esistere la possibilità di un giudizio” scrive Dante ne La Monarchia, mentre nell’Italia del Trecento, ovunque nasca una controversia non esiste alcuna possibilità di ottenere giustizia perché due sono i poteri e due sono le parti destinate a restare sempre in bilico, in un eterno braccio di ferro. Con i Guelfi o con i Ghibellini, per il Papa o per l’Impero, ma quasi mai per un diverso modo di vedere il mondo, quasi sempre e solo per opportunità e contingenza. Guelfi e Ghibellini, due entità amorfe, mobili, dilatabili, imprevedibili come la ruota della Fortuna, come la ruota dei Cerchi e dei Donati, destinati ad andare sempre in tondo, in un continuo avvicendarsi tra perseguitati e persecutori, tra vittime e carnefici. Dal recesso inascoltato del loro “esilio”, due scrittori, Dante Alighieri e Dino Compagni, ci portano nell’Inferno della Firenze dei Guelfi e dei Ghibellini, facendoci sentire l’odore del sangue e della paura.